Proprietà intellettuale food

Food e Proprietà Intellettuale: un binomio importante per la tutela dell’agroalimentare italiano

A cura di Fulvia Mormiro, Italian and European Trademark Attorney PRAXI Intellectual Property
 

Il Made in Italy, tra tradizione e innovazione

 
… Non sopporto chi prende il cibo poco seriamente“ diceva Oscar Wilde, e noi italiani – che del (buon) cibo abbiamo fatto una filosofia di vita - non potremmo essere più d’accordo.   
 
Con una gamma di prodotti che non ha uguali nel resto del mondo, il settore agroalimentare italiano riveste da sempre un ruolo di primo piano nella nostra economia. Basti pensare che negli anni della pandemia il comparto non solo ha “resistito” con ben oltre 500 miliardi di euro di valore prodotto (pari a quasi il 15% del Pil nazionale), ma ha addirittura registrato, nel periodo più critico, un aumento dell’export di prodotti Made in Italy di elevata qualità gastronomica e tradizionale. Il trend si è confermato anche nel delicato periodo immediatamente successivo all’emergenza sanitaria.
 
E non c’è dubbio che il Made in Italy, quale custode del buon vivere, della salute e del territorio, abbia tutti i numeri per rispondere alla domanda crescente di specialità alimentari che soddisfino le aspettative di tipicità, qualità e sostenibilità. Questo anche grazie a un nuovo approccio al cibo, ormai percepito non più (o meglio non solo) come mera soddisfazione di un bisogno, ma come un’esperienza sensoriale, etica e culturale.   
 
La filiera italiana del cibo conta oggi oltre 1,3 milioni di aziende impegnate a vari livelli nella produzione e trasformazione delle materie prime, fino alla loro distribuzione e commercializzazione. Più di un terzo di esse ha investito in soluzioni innovative per aumentare la produttività, impattare meno sull’ambiente o per contenere i costi. Un segnale importante questo, che evidenzia chiaramente il potenziale altissimo delle emergenti tecnologie, se applicato ad uno dei settori tradizionalmente più al riparo dall’innovazione.    
 
Gli strumenti della proprietà industriale cui possono fare ricorso coloro che operano nel settore agroalimentare sono indubbiamente numerosi: è possibile ad esempio brevettare il procedimento di trasformazione di un prodotto primario,  registrare come modello di utilità un macchinario che rende più comodo e leggero il lavoro, ottenere la privativa sulla forma di un cioccolatino, proteggerne l’imballaggio, o addirittura - a dimostrazione di quanto sia ampio e composito il settore “food”-  registrare la presentazione di un piatto  (pensiamo al famoso “risotto oro e zafferano” dello Chef Gualtiero Marchesi, oggetto di design).
 
Del resto, il primo “brevetto” della storia riguarderebbe proprio una ricetta di cucina: stando allo storico ateniese Filarco, pare che a Sibari, colonia calabra della Magna Grecia, la buona cucina fosse tenuta in così grande considerazione da istituirsi già nel 510 a.C. una privativa di 12 mesi per permettere all’ideatore di una ricetta di successo di goderne in esclusiva i frutti economici.  

 

Un’immagine vale più di mille parole

 
Ma torniamo a noi. Quale strumento si rivela il più adatto per le aziende che vogliono affrontare preparate la competizione del mercato globale? La risposta non può essere univoca. Tuttavia, se oggigiorno la parola chiave è “comunicazione”, non possiamo che partire dal marchio.
 
Il marchio è ciò che rimane impresso nella memoria dei consumatori, permettendo loro di farsi delle aspettative reali sulla azienda, sulla qualità di ciò che offre, sulla sua affidabilità e serietà professionale. È una “carta di identità” speciale che non solo individua e distingue i prodotti e i servizi di un’impresa, ma comunica valori, sensazioni, un vero e proprio modo di essere.
 
Non ultimo, il marchio ha costi particolarmente accessibili e, potenzialmente, è rinnovabile all’infinito.
 
Parlando di tempo, anzi di valore del tempo, la metà dei marchi attualmente iscritti al Registro speciale dei Marchi Storici di interesse nazionale proviene proprio dal settore alimentare: considerate che stiamo parlando di marchi in vita da più di 50 anni! 
Non è certo un caso che anche le grandi realtà imprenditoriali del settore abbiano sentito l’esigenza di iscriversi al Registro, per poter attestare nel loro “storytelling” un lavoro ultradecennale di valorizzazione delle eccellenze del territorio.
 
 

Marchi collettivi e di certificazione nel settore agroalimentare

 
Quanto conta il territorio per il successo delle produzioni agroalimentari? In Italia, come abbiamo visto, tanto. Anzi, tantissimo.

Il nostro, infatti, è il Paese con il maggior numero di prodotti agroalimentari a denominazione di origine e a indicazione geografica protetta (DOP, IGP), vere e proprie garanzie riconosciute dall'Unione Europea del livello qualitativo dei prodotti provenienti da un determinato territorio.

Proprio per evitare monopoli irragionevoli o abusi, il nostro ordinamento vieta la registrazione di marchi individuali composti esclusivamente da segni o indicazioni che indicano la provenienza geografica del prodotto (a meno che non siano puramente di fantasia). Ciò invece è consentito al marchio collettivo, in virtù della sua funzione di garantire la provenienza o la qualità di determinati prodotti o servizi che rispettano standard stabiliti da un apposito regolamento chiamato “disciplinare”.

Nel settore agroalimentare è molto frequente, infatti, la presenza di marchi collettivi gestiti da Associazioni o Consorzi di produttori, il cui utilizzo può essere concesso solamente per prodotti alimentari realizzati in una precisa area geografica, secondo modalità definite. Un esempio fra tanti è il marchio collettivo europeo del Consorzio per la tutela dello Zampone e Cotechino Modena IGP: un rigoroso disciplinare indica specificamente le zone di produzione e le modalità tradizionali di lavorazione, affinché sia garantita nel tempo la costante qualità di queste specialità gastronomiche annoverate tra i più antichi prodotti della salumeria italiana e rimaste sostanzialmente immutate nel corso dei secoli dal 1500 ad oggi.  

Oltre al marchio collettivo, è stato recentemente introdotto in Italia un altro strumento per garantire determinate caratteristiche qualitative dei prodotti secondo un regolamento specifico: si tratta del marchio di certificazione, che nel nostro Paese - a differenza di quanto avviene nel resto d’Europa - può attestare anche la provenienza geografica.
  
È facilmente intuibile come anche quest’ultima tipologia di tutela potrà avere applicazione nel settore agroalimentare, di fatto aggiungendosi agli altri strumenti a disposizione degli operatori   per promuovere efficacemente i propri prodotti e offrire contemporaneamente solide garanzie al consumatore in tema di provenienza, qualità e affidabilità degli stessi.
 
 

Attenti al marchio!  

 
Se è vero che la disciplina delle indicazioni geografiche presenta indubbi punti di contatto con quella del marchio di impresa, le differenze normative tra i due istituti sono tuttavia sostanziali, così come lo sono i rapporti “gerarchici” in caso di eventuale conflitto.

Non è sempre agevole infatti - per chi non è del settore - cogliere tutti gli aspetti e i rischi connessi ad esempio ad un uso “evocativo” di una denominazione di origine (per quanto in buona fede). Basti pensare al marchio privato "Altipiani di Asiago", utilizzato ben prima che nascesse ufficialmente la denominazione d'origine protetta del Formaggio “Asiago Dop”: ci sono voluti ben tre gradi di giudizio perché ne venisse riconosciuta la legittimità. Una riprova, questa, di quanto talvolta sia sottile e sfumato il confine tra uso legittimo e uso improprio del marchio.
 
Tra marchi individuali e collettivi, marchi di certificazione, marchi di forma, e - in un futuro non troppo lontano - anche marchi “non convenzionali”, che ben si prestano ad una applicazione nel settore agroalimentare (pensiamo ai marchi olfattivi e gustativi), l’imbarazzo della scelta è a dir poco tangibile.

Al fine di elaborare una vera e propria “strategia” di protezione e valorizzazione degli asset aziendali, è bene scegliere gli strumenti più adeguati. Provvedere a tutte le verifiche necessarie ed individuare le eventuali criticità in agguato è il primo step da cui partire.

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